Di recente, l’ex premier Giuliano Amato ha sottolineato l’ingente rischio che corrono le generazioni future di percepire pensioni “da fame”, a seguito delle riforme previdenziali che si sono susseguite negli ultimi vent’anni.
Fra queste, hanno svolto un ruolo determinante nel cambiare il sistema di calcolo delle pensioni pubbliche, la riforma attuata dal governo Dini (1995) e quella, più recente, del Ministro Fornero (2011).
In generale, le innovazioni apportate hanno determinato il passaggio da un sistema di calcolo pensionistico di carattere retributivo ad uno contributivo, alla luce del quale le pensioni di tutti coloro i quali hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 poggeranno esclusivamente sull'entità dei contributi versati - e non sulla media dei redditi dichiarati.
Quindi, la pensione delle nuove generazioni dipenderà esclusivamente dai contributi che verranno progressivamente versati all’Inps.
Inoltre, in parallelo a ciò, risulta fondamentale considerare il panorama lavorativo generale.
Infatti, le riforme previdenziali di specie si collocano entro un quadro in cui i giovani, per via degli studi, entrano tardi nel mercato del lavoro. E non solo. Nella stragrande maggioranza dei casi trascorre ancora molto tempo prima che trovino un lavoro stabile e tutelante, spesso passando attraverso lunghi periodi di disoccupazione e prestando i cosiddetti ‘lavoretti’ – che, in quanto tali, non risultano incidenti a livello contributivo.
Per rendersi conto della gravità futura in cui versano tantissimi giovani si pensi che un lavoratore che ha versato 22-23 anni di contributi e percepito uno stipendio di circa 1500 euro riceverà una pensione di soli 600 euro!